sabato 31 dicembre 2011

DONALD WINNICOTT

Biografia
Studiò medicina a Cambridge laureandosi nel 1923.
Nello stesso anno cominciò un'analisi personale con James
Strachey (il traduttore inglese delle opere di Freud), e
successivamente, diventato psicoanalista della Società
Psicoanalitica Britannica, continuò ulteriormente la sua
analisi con Joan Rivière, quest'ultima di impostazione
prettamente kleiniana. Come pediatra lavorò per circa
quarant'anni presso l'ospedale pediatrico di Paddington
Green, acquisendo una ricchissima esperienza clinica.

Winnicott, che inizialmente abbracciò le concezioni della
Klein circa il rapporto madre-bambino, successivamente si
discostò dal suo pensiero divenendo meno ortodosso ed
entrando nel gruppo degli indipendenti britannici (il
cosiddetto middle group, gruppo di mezzo), passando alla
storia come uno dei pionieri della scuola delle relazioni
oggettuali.
La sua concomitante professione di pediatra lo portò ad
osservare a lungo i bambini e la loro interazione con la
madre, permettendogli così di elaborare originali teorie
sullo sviluppo psicologico ed emotivo del bambino.

Concetti introdotti da Winnicott :
La funzione di holding
Holding (letteralmente "sostegno") è un termine introdotto
da Winnicott per definire la capacità della madre di
fungere da contenitore delle angosce del bambino.
Lo holding è la capacità di contenimento della madre
sufficientemente buona, la quale sa istintivamente quando
intervenire dando amore al bambino e quando invece mettersi
da parte nel momento in cui il bambino non ha bisogno di lei.

All'interno dello holding il bambino può sperimentare
l'onnipotenza soggettiva, ovvero la sensazione di essere lui,
con i suoi desideri, a creare ogni cosa.
Questa esperienza è necessaria ed indispensabile per il sano
sviluppo dell'individuo, e può verificarsi soltanto all'interno
di uno spazio fisico e psichico (uno holding environment)
che possa permettere la sua espressione.
Lo spazio transizionale

Per Winnicott il bambino inizialmente vive in una
realtà costruita soggettivamente, dove tutto (compresa la
madre) è sotto il suo controllo onnipotente (onnipotenza
soggettiva); in questa realtà il bambino crede di costruire
la madre con i suoi desideri.
Gradualmente dovrà abbandonare questa visione edonistica per
abbracciare una visione dello spazio oggettivo condiviso,
dove la madre esiste indipendentemente dalla volontà egoistica
del bambino.
Tuttavia, tra le due forme di realtà ne esiste una terza, lo
spazio transizionale, il quale è sia costruito soggettivamente
che percepito oggettivamente. L'esperienza transizionale (della
quale fanno parte gli oggetti transizionali), avendo la
caratteristica di entrambe le forme di realtà, permette al
bambino di spostarsi verso una realtà oggettiva condivisa,
senza esserne traumatizzato.
Inoltre permette lo sviluppo della capacità di vivere nella
realtà oggettiva riuscendo però a conservare il nucleo
dell'onnipotenza soggettiva, che permetterà l'espressione
dell'originalità e della passione nell'individuo.
Per Winnicott l'esperienza transizionale è una sorta di luogo
psichico dove il bambino può giocare creativamente, e per
questo motivo Winnicott assimila le esperienze culturali
umane alle esperienze transizionali.
In ogni caso, lo spazio transizionale non consiste solo in una
fase evolutiva dello sviluppo umano, ma è anche e soprattutto
lo spazio potenziale tra individuo e ambiente, in cui si
modella, in "tutte le età successive dell'uomo" ogni forma di
processo mentale creativo, che ci permette di sviluppare una
autonomia riflessiva personale e di cogliere l'opportunità
che ciascuno di noi vuole concedersi, di dare un nuovo e personale
senso alla propria esistenza e al mondo, a partire dalle
pregresse esperienze sociali e culturali.

L'oggetto transizionale

All'interno dello spazio transizionale acquista notevole
importanza l'oggetto transizionale.
Questo termine denota un oggetto, generalmente di qualità
tattile-pressoria (lembo di coperta, peluche, pezzo di stoffa.
ecc.) che viene acquisito dal bambino per aiutarlo nel suo
sviluppo psicologico; esso viene ad essere il primo oggetto
assimilato dal bambino come "non-me".
Tale oggetto, rappresentando l'unione con la madre, ne permette
anche il distacco e l'autonomia da essa, un processo definito
come individuazione-separazione dalla Mahler.
Quindi l'oggetto transizionale permette l'ammortizzazione del
passaggio dallo stadio dell'onnipotenza soggettiva a quello
della realtà oggettiva condivisa, e lo fa rappresentando in
maniera pre-simbolica l'area (o spazio) transizionale, uno
spazio dove la madre non è né costruita soggettivamente né
esistente oggettivamente.
Il fenomeno (o oggetto) transizionale non è quindi né
percepito onnipotentemente né visto come appartenente
alla realtà oggettiva, venendosi a trovare in uno spazio
di mezzo, lo spazio potenziale, situato tra ilsé e il
non-sé.


La madre sufficientemente buona

Winnicott definisce madre sufficientemente buona quella
madre che, in maniera istintiva, possiede le capacità di
accudire il bambino dosando opportunamente il livello
della frustrazione che gli infligge.
La madre sufficientemente buona possiede la cosiddetta
preoccupazione materna primaria, uno stato psicologico
indispensabile perché essa possa fornire le cure adeguate
al piccolo e che le permette di "fornire il mondo" al
bambino con puntualità, facendogli sperimentare l'onnipotenza
soggettiva.
Tra i compiti della madre, infatti, vi è anche quello di
presentare il mondo al bambino (presentazione degli oggetti);
la madre sufficientemente buona sa istintivamente quando
presentare gli oggetti al piccolo, quando accudirlo, quando
e come frustrarlo facendo sì che il suo sviluppo proceda
senza intoppi e senza traumi per lui soverchianti.
Allo stesso modo Winnicott parla di madre non sufficientemente
buona intendendo quella madre, in genere vittima di
psicopatologie depressive o simili, che fornisce al bambino
cure senza creatività, senza adattarsi a lui e in maniera
meccanica; con una madre non sufficientemente buona il bambino
smetterà presto di vivere nell'illusione che sia lui a creare
e distruggere gli oggetti, e vivrà in un mondo, presentatogli
dalla madre, alla quale egli dovrà essere accondiscendente:
la creatività nascente potrebbe così essere uccisa.
Anziché essere la madre ad adattarsi al piccolo, in questo
caso sarà il piccolo a doversi adattare alla madre (o alla
principale figura di accudimento).
La madre non sufficientemente
buona può distruggere in maniera traumatica l'esperienza
dell'onnipotenza soggettiva del bambino, favorendo in
particolare lo sviluppo di un falso sé o doppio legame.


Il Falso Sé

Winnicott indica, con questo termine, le situazioni
nelle quali il paziente avverte un pesante senso di
inutilità soggettiva, di non esistenza.
Il Falso Sé deriverebbe da un rapporto primario madre-bambino
insoddisfacente, quindi da una madre che non ha risposto in
maniera soddisfacente ai bisogni del bambino.
In questo caso non si parla tanto di bisogni fisiologici,
quanto dei bisogni di crescita, di onnipotenza, di creazione
e distruzione dell'oggetto. Inizialmente, infatti, è importante
che il bambino sperimenti l'onnipotenza soggettiva, vivendo
nell'illusione di essere lui (con i suoi desideri) a creare
e distruggere la madre. Successivamente, grazie all'esperienza
e all'oggetto transizionale, potrà muoversi verso un terreno
di realtà condivisa, meno egocentrico.
Per fare ciò ha bisogno di una madre sufficientemente buona
che lo sottoponga a delle frustrazioni ottimali, che il
piccolo possa recepire in maniera non traumatizzante.
La madre non sufficientemente buona, invece, interrompe
bruscamente l'onnipotenza soggettiva del bambino, tarpandone
le ali e impedendo la crescita del vero sé: è in questo modo
che si forma il falso Sé, un Sé privo di energia soggettiva,
fatto di accondiscendenze, non creativo, senza spinta.
Al contrario, il Vero Sé è quello nato dal normale superamento
dell'onnipotenza soggettiva, la quale rimane come base del
vero nucleo della personalità, la fonte di energia dalla quale
si sviluppano gli aspetti periferici della personalità.
Il Falso Sé viene quindi a configurarsi come una patologia
legata ad un deficit presente nell'ambiente del bambino, ad
una carenza nelle cure materne; si passa così da una teoria
del conflitto, tipica della psicoanalisi freudiana, della
psicologia dell'Io e delle concezioni kleiniane, a una teoria
del deficit che presuppone l'assenza o la carenza di importanti
elementi dello sviluppo.

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